Per pesca sostenibile, si intende “lasciare sufficienti individui di una determinata tipologia di pesce in mare, per dare alla popolazione la possibilità di riprodursi nel corso del tempo. Tutto ciò senza distruggere gli habitat naturali per garantire il necessario supporto ambientale alla specie”.  

Gli stock ittici stanno subendo una forte pressione nei nostri mari. Secondo uno studio condotto dalla FAO di parla di percentuali altissime, che superano il 90%. Il problema della sovra-pesca riguarda soprattutto le specie più conosciute perché essendo più diffuse nella nostra cucina tendiamo a pescarle e ad allevarle maggiormente e le risorse ittiche in mare non possono sostenere la loro crescente domanda. I dati presentati sono in continua crescita, si pensi che il consumo di pesce è aumentato fino a 20 kg l’anno registrati per persona, rispetto ai 9 kg negli anni ’60.

Per pesca sostenibile, si intende “lasciare sufficienti individui di una determinata tipologia di pesce in mare, per dare alla popolazione la possibilità di riprodursi nel corso del tempo. Tutto ciò senza distruggere gli habitat naturali per garantire il necessario supporto ambientale alla specie”.

La sostenibilità viene valutata a seconda del tipo di pesca utilizzato e si può definire tale la pesca che preleva dal mare ciò di cui ha bisogno e che utilizza metodi a basso impatto ambientale.

Per essere sostenibile, bisogna rispondere affermativamente a tre domande:  

  1. Sono stati lasciati in mare sufficienti individui per la riproduzione? 
  2. Il metodo di pesca danneggia l’ambiente? 
  3. Durante la pesca vengono evitate le catture accidentali di specie protette (squali, tartarughe marine, cetacei)? 

Se la risposta è negativa per anche solo una domanda, non si può parlare di pesca sostenibile.

Il nostro modello economico, e l’aumento del numero della popolazione umana stanno portando al collasso la capacità rigenerativa dei nostri mari. Bisogna cambiare le politiche di pesca a livello internazionale.  

La Nuova Zelanda è diventata un modello di riferimento, in quanto ha protetto tutte le specie ittiche. Unione Europea, Stati Uniti e Australia hanno implementato un sistema di regole chiare sulle quote di pescaggio, hanno promosso l’aumento delle aree marine protette e lo studio di attrezzi da pesca dal minor impatto ambientale. Eppure, la strada da fare è ancora tanta e la pesca industriale è un grande problema per gli ecosistemi.

Dal 2014 l’Italia ha introdotto il sistema di tracciamento, che tramite un’etichetta sul banco del pesce, fornisce al consumatore tutte le informazioni riguardanti la specie, la provenienza, il metodo di pesca utilizzato e se è stato pescato o allevato. Così, il consumatore può orientare la propria scelta in modo consapevole.

Ma quali sono i prodotti ittici maggiormente sostenibili?  

Sicuramente i pesci di stagione, il pescato proveniente da acque locali e i molluschi, come le cozze, che offrono riparo a molte specie di pesci.

Il logo MSC (Marine Stewardship Council) è un ente internazionale che certifica le aziende di pesca che aderiscono a parametri standard di sostenibilità.

In Europa vige poi inoltre l’obbligo di atterraggio, dovuto ad un fenomeno chiamato Bycatch, ossia pesca accidentale. Questa è estremamente dannosa in quanto porta ad un sensibile deterioramento degli stock ittici, talvolta anche protetti, che non dovrebbero finire nelle reti da pesca.

I ricercatori si stanno impegnando nella sperimentazione di reti da pesca alternative e selettive, che possano portare alla riduzione di questo fenomeno. 

Rendere la pesca un’attività sostenibile è possibile, ma non senza salvaguardare gli habitat e le specie che popolano i nostri mari. È una risorsa importantissima, per noi e per le generazioni future.

A Cura di Carlotta Guglielmi 

Fonti:  

https://www.keeptheplanet.org/pesca-sostenibile/

https://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/pesca_e_consumo_sostenibile/